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Vita di Giovanni Bellini – Biografia e Opere
Giovanni Bellini nacque probabilmente a Venezia nel 1432. Suo padre era il pittore Jacopo Bellini, nella cui bottega iniziò l'attività. Giovanni e Gentile, suo fratello, hanno lasciato un segno importante nella storia dell'arte, ma Giovanni è considerato uno dei pittori più importanti del Rinascimento. Gentile ha prodotto opere limitate, nonostante l'interesse suscitato dal suo stile indubbiamente originale, mentre Giovanni è il più grande artista veneziano del suo tempo.
I due fratelli collaboreranno a diversi lavori, soprattutto all'inizio. È quindi facile stabilire l'ambiente in cui Giovanni maturò. Va ricordato, inoltre, che il matrimonio della sorella Nicolosia lo rese cognato di Andrea Mantegna, allora attivo a Padova, di cui avrebbe subito l'influenza.
Giovanni Bellini è ricordato come pittore per la prima volta nel 1459. Eseguì diverse opere da solo o in collaborazione con il padre e il fratello; la maggior parte di loro sono andati perduti. Il 28 agosto 1479 le autorità veneziane decisero di affidare a Gentile la direzione dei lavori di restauro della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Venezia. A causa dell'umidità (le decorazioni erano realizzate su tela), i dipinti si deteriorarono troppo velocemente. In partenza per Costantinopoli, Gentile Bellini affida i lavori al fratello Giovanni che impiegherà circa tredici anni per realizzarli, coadiuvato da vari artisti, tra cui Alvise Vivarini. Ma l'intera opera bruciò durante il terzo grande incendio di Palazzo Ducale, avvenuto il 20 dicembre 1577.
Nel frattempo l'artista dipingeva numerosi quadri da cavalletto e pale d'altare commissionatigli dalle chiese di Venezia con soggetti talvolta simili, ma comunque sempre nuovi per la freschezza del sentimento poetico.
Tra il 1496 e il 1506 vi fu uno scambio epistolare tra Giovanni Bellini ei Gonzaga; questo carteggio, che si è conservato, è un documento prezioso per comprendere il carattere dell'artista. Il 26 novembre 1496 Bellini fece sapere a Isabella Gonzaga, probabilmente a seguito di un incontro, che desiderava dipingere un quadro per il suo studio. Francesco Gonzaga risponde chiedendogli una veduta di Parigi, ma Bellini rifiuta dicendo di non conoscere questa città. È interessante notare fino a che punto l'arte si è sempre più legata a un'espressione diretta delle sensazioni. La risposta di Bellini non fu certo un pretesto o una mancanza di fantasia: per dipingere aveva bisogno di essere a contatto con la natura, con le luci della sua città, o con i luoghi che amava. I suoi paesaggi non sono né eroici né fantastici, ma sono motivi indispensabili perché il suo profondo senso religioso suggerisce che abbia raccolto l'intera creazione di Dio nel suo amore per lui. Era quindi da escludere che il pittore potesse accettare di inventare l'atmosfera di una Parigi di cui non conosceva né le luci né il colore delle pietre e degli alberi.
Nel 1502 la marchesa Isabella gli chiede un dipinto, indicando sempre il soggetto. Il pittore ha delle difficoltà, si dichiara sovraccarico di lavoro, e chiede un anticipo di denaro e molto tempo; aggiunge che il soggetto scelto non gli piace affatto, tanto più che non vuole apparire come un emulo del Mantegna. Le prevaricazioni del Bellini durarono fino al 1504, quando la marchesa, persa la pazienza, gli chiese di restituire l'anticipo. Il pittore invia quindi il dipinto, scusandosi e chiedendo clemenza se l'opera non risponde a quanto ci si aspettava da lui.
L'anno dopo la marchesa gli diede un altro ordine e, tramite Pietro Bembo, il pittore, le fece dire che “l'invenzione … deve essere adattata alla fantasia di chi deve farla, a cui piace che non si diano molti termini firmati a il suo stile, l'abitudine, come dice lui, di spaziare sempre a suo piacimento nei quadri”. Non si può immaginare un artista come Giovanni Bellini che accetti di far definire i dettagli di un soggetto. Può essere umile e non essere sicuro di sé o dell'approvazione degli altri. Tuttavia, rivendica fortemente una libertà assoluta e inalienabile nella scelta delle sue emozioni, una posizione che lo avvicina singolarmente agli artisti moderni.
Nonostante tutte le influenze – Mantegna, Antonello da Messina, Piero della Francesca, Giorgione – dagli altri attinge solo gli elementi che gli si addicono e li personalizza. Il suo amore per la natura e il suo misticismo comunicano un'intensa poesia nelle sue opere; il Cristo dell'Orto degli Ulivi fonde la sua preghiera con il tramonto, e il Cristo della Trasfigurazione associa la natura al suo canto mistico. Quando questa poesia diventa drammatica, l'ingiustizia e la sofferenza di tutta l'umanità si riversano sulla Madre e sul Figlio, molto spesso uniti nella loro espressione di dolore. Ma soprattutto la visione del pittore si apre a successive evoluzioni del gusto. La data della sua morte è posteriore a quella del Giorgione e successiva alla composizione di alcuni importanti dipinti del Tiziano. Tuttavia si può ancora affermare che la grande fioritura della pittura veneziana del Cinquecento, che trova la sua massima espressione in Giorgione e Tiziano, fosse già stata annunciata da Giovanni Bellini.
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