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Giotto – Vita e opere – Biografia
Giotto di Bondone è stato venerato per quasi sette secoli come il padre della pittura europea, l'inventore della terza dimensione nella pittura e uno dei primi grandi maestri italiani. Allievo dell'altro grande pittore fiorentino dell'epoca, Cimabue ha lasciato in luoghi come Assisi, Roma, Padova, Firenze e Napoli affreschi e tavole che oggi fanno parte non solo della storia dell'arte ma anche dell'immaginario di ogni di noi. Giotto fu il protagonista e riuscì a cambiare radicalmente l'intero linguaggio artistico dell'Occidente.
Intorno al 1300 Firenze, e con essa tutta la Toscana, conobbero gli effetti di una notevole fioritura economica e culturale: l'antico comune, i cui costumi severi e semplici furono rimpianto dall'esule Dante per bocca del suo avo Cacciaguida, dona via verso una città imprenditoriale, ricca, forte di una solida borghesia mercantile e finanziaria.
Alle soglie del Trecento l'espansione urbanistica si era fatta incessante in molte città italiane: vescovi, ordini religiosi, famiglie benestanti, banchieri e mercanti facevano a gara nel promuovere la costruzione di nuovi edifici. Di pari passo con lo sviluppo economico e sociale della città nasce anche un'intensa attività artistica, che spinge alla ricerca di nuove forme di rappresentazione. Giotto si inserisce positivamente in questa situazione: artista nasce nel 1267 a Vespignano presso Firenze. Dopo l'apprendistato nella bottega di Cimabue tra il 1280 e il 1290, si affermò come il più grande artista dell'epoca.
La sua fortunata carriera è testimoniata dalla lunga serie di prestigiosi incarichi che lo portarono a lavorare per Papi, re e ordini monastici. Soggiorna in numerose città d'Italia, tra cui Assisi (dove affresca la Basilica Superiore di San Francesco), Roma, Napoli e Milano, influenzando profondamente l'arte locale. Tra il 1304 e il 1306 si trasferì a Padova, dove, su richiesta del banchiere Enrico Scrovegni, dipinse la celebre Cappella degli Scrovegni. Nel 1334 fu nominato direttore dei lavori del Duomo di Firenze; fornì il progetto per l'omonimo campanile di Giotto. Morì a settant'anni l'8 gennaio 1337 e fu sepolto nel Duomo fiorentino con grandi onori.
Una carriera folgorante
Di umili origini, il figlio del contadino Bondone trova nella vita cittadina la sua dimensione di uomo e di artista, consapevole del ruolo sociale acquisito e del successo delle opere lasciate nei vari centri italiani durante i lunghi viaggi. La sua pittura sarà l'immagine di questa sicurezza morale e materiale, della soddisfazione di conoscere e interpretare il proprio tempo e il proprio ambiente. Giotto ha segnato una svolta nell'arte medievale, allontanandosi dalla pittura bizantina. Le sue figure hanno volumi, agiscono nello spazio ed esprimono un'intensa umanità. I suoi personaggi dipinti sono indubbiamente uomini e donne reali: con le loro inquietudini e speranze, stupore e sentimento, e d'altra parte, con il volume solido dei loro corpi, occupano un ruolo sociale, tangibile nello scenario quotidiano della città o la campagna.
La piena consapevolezza della presenza attiva dell'individuo nella storia e nel mondo è la più grande conquista della cultura italiana alle soglie del Trecento: in questo periodo muove i primi passi il movimento intellettuale che, nel secolo successivo, porterà alla la stagione naturale dell'umanesimo. Prende forma un nuovo linguaggio, il “volgare” di Dante e Boccaccio, le cui convinzioni chiare e sonore corrispondono pienamente al dipanarsi delle scene e dei personaggi dei dipinti di Giotto. Contemporaneamente, anche la scultura, con Arnolfo di Cambio e Giovanni Pisano, raggiunge la piena estensione della gamma espressiva, dall'animazione vibrante alla pacata solennità.
Secondo i contemporanei, Giotto cambiò il linguaggio dell'arte “dal greco al latino”: eppure, il suo apprendistato avviene in una cultura simbolica ancora influenzata dall'arte bizantina. Secondo i dettami di questa tradizione ispirata alla corte imperiale di Bisanzio e ben radicata in tutta l'Europa orientale, le immagini create dall'arte bizantina devono seguire le regole di un codice di rappresentazione ben preciso: non si cerca di produrre l'impressione della realtà, ma per dare espressione visibile, con simbolismo aristocratico, a vicende e personaggi ultraterreni. Così, le singole scene di storia sacra seguono un andamento iconografico immutato nel tempo, ripetuto con assidua osservanza. Il maestro di Giotto, Cimabue, e il grande contemporaneo Duccio da Boninsegna, seppur con esiti diversi, sono ancora in parte legati a questo modo elegante, prezioso, calligrafico di intendere la pittura: Giotto, fin dalle sue prime opere conosciute, è mosso da un diverso desiderio e realizza una delle svolte più decisive dell'arte occidentale.
Un più che probabile viaggio a Roma, compiuto in giovane età, suggerisce a Giotto una chiara e personale interpretazione dell'antichità, vista come modello di sobrietà e compostezza e, al tempo stesso, di sottile e acuta indagine sulla natura e sull'uomo sentimenti. Gli artisti romani della fine del Duecento (come Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti) avevano già intrapreso un percorso simile: ma solo con Giotto questo percorso divenne una grandiosa conquista, ben presto distribuita dallo stesso artista in tutta Italia , da Assisi a Roma, da Rimini a Padova, da Napoli a Milano, tappe scandite da cicli di affreschi e opere di straordinaria importanza, alcune delle quali andate perdute, ma che ebbero un ruolo determinante nella formazione delle scuole locali ispirate a Giotto . Nel giro di pochi decenni sorsero ovunque scuole di “Giotteschi” più o meno originali: ma soprattutto Firenze fu la città che accolse in modo duraturo la lezione del suo illustre figlio, al punto che la civiltà simbolo del Rinascimento, sbocciata all'inizio del Quattrocento grazie a Brunelleschi, Donatello e Masaccio, ha sempre riconosciuto in Giotto una radice salda e incrollabile. Sembra paradossale, ma in realtà, essendo e sentendosi uomo del suo tempo, Giotto, come Dante, è uomo moderno da settecento anni.
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Realtà e leggende della giovinezza, fino alla rivelazione degli affreschi di Assisi
Della giovinezza e della formazione di Giotto ci sono pervenute solo scarse notizie. Stiamo ancora determinando se il suo nome sia completo o diminutivo di Biagio o Agnolo. La data di nascita non è attestata dai documenti ma deriva dal fatto che il pittore morì nel gennaio del 1337 all'età di settant'anni: il 1267 è però una data molto plausibile, strettamente coincidente con la nascita di Dante, che cade, come è noto, nel 1265.
Nato in una famiglia contadina a Colle di Vespignano, vicino a Firenze, il padre, Bondone, è un “lavoratore della terra e persona fisica”. Giotto è descritto dai più antichi commentatori (in particolare da Lorenzo Ghiberti, seguito poi dal Vasari) come un bambino prodigio. L'incontro tra il pastorello che gratta le pecore sui sassi del Mugello e il grande maestro Cimabue sulla strada per Bologna è uno degli esempi più tipici e ripetuti di “talento naturale” dell'intera storia dell'arte. Al di là dell'autenticità dell'antica leggenda (recentemente, però, proposta per vera da Luciano Bellosi), egli accerta l'esistenza di un rapporto molto diretto tra Cimabue e Giotto, tanto che è possibile che il maestro e l'allievo lavorassero insieme ad alcuni opere, come la Madonna della Prepositura di Castelfiorentino.
Lo stile di Cimabue rappresenta l'estrema evoluzione dell'arte bizantina in Italia:
- Le pose delle figure
- Il disinteresse per la rappresentazione dello spazio
- I gesti e le caratteristiche
- La risposta alle regole dettate dalla tradizione orientale
D'altra parte, Cimabue ha una visione gloriosa e drammatica della storia sacra e un senso di conflitto tra il bene e il male, che si traduce in nuova energia plastica nei suoi dipinti, di forte impatto emotivo, “espressionistico”. A Cimabue, un altro episodio segna la formazione artistica del giovane Giotto: un viaggio a Roma. Prima di entrare nel grandioso cantiere della Basilica di San Francesco ad Assisi, il giovane pittore visitò per la prima volta la “città eterna”. Una volta lì, incontra una situazione particolare: un centro di 30.000 abitanti, grande circa la metà di Firenze, dove montagne di monumenti antichi emergono in rovina. Tra le rovine dell'antica Roma spiccano le splendide costruzioni delle basiliche cristiane, molte delle quali furono decorate con mosaici e affreschi nel corso del XIII secolo. In quel periodo si sviluppò un'importante scuola pittorica romana, i cui principali rappresentanti furono Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti.
Senza negare del tutto l'iconografia bizantina, i pittori e mosaicisti romani recuperano la pacata monumentalità dell'arte classica: nella città del Papa sembra rinascere un'arte imperiale, alla quale partecipa anche lo scultore-architetto toscano Arnolfo di Cambio, autore Roma di significativi complessi ornamentali. Sebbene non siano state finora identificate come certe opere di Giotto anteriori agli affreschi di Assisi (qualcuno suggerisce di cercare tra i mosaici del Battistero di Firenze tracce della giovinezza di Giotto), la critica è concorde nel sottolineare l'importanza decisiva del suo soggiorno romano per la punto che si discute se Giotto giunse al cantiere di San Francesco ad Assisi al seguito di Cimabue o tra gli artisti romani. Tuttavia, nell'ultimo decennio del XIII secolo, inizia il suo stretto rapporto con l'ordine dei francescani, che saranno suoi protettori a più riprese.
Gli affreschi di Assisi
Per il gusto dell'ordine francescano Assisi e la sua basilica divennero il centro pittorico più fervido del Medioevo e attirarono i migliori artisti dell'epoca. Nel XIII e XIV secolo il modo di fare arte mutò profondamente grazie ai Francescani, l'ordine religioso fondato da San Francesco d'Assisi (1181-1226). Quando il santo morì, la sua popolarità fu immensa. La chiesa che porta il suo nome fu costruita per custodire le sue spoglie. L'edificio comprende due classi distinte e sovrapposte: la Basilica Inferiore, bassa e larga, ancora con forme romaniche; la Basilica Superiore, slanciata e luminosa, segue invece i principi dell'architettura gotica. Qui valenti pittori hanno lasciato splendidi affreschi, come il celebre ciclo sulla vita di San Francesco attribuito a Giotto. La storia e la leggenda di San Francesco d'Assisi rappresentano il tema principale, raccontato in 28 grandi riquadri affiancati lungo la fascia centrale.
I segreti di una tecnica complessa
L'affresco, o "pittura ad affresco", è una tecnica conosciuta fin dall'antichità. Fu riscoperto nel Medioevo perché meno costoso dei mosaici. Consiste nell'applicare il colore sull'intonaco ancora fresco in modo che asciughi insieme il muro. Si produce quindi una trasformazione chimica che preserva la vernice finché dura l'intonaco. Fare un buono a Trieste è abbastanza complicato: il pittore deve essere abile e non avere remore poiché, una volta che il muro si è asciugato, ciò che è stato dipinto non può più essere cambiato.
Sui blocchi di pietra puliti veniva steso il riccio, cioè uno strato di intonaco grezzo composto da sabbia grossolana mista a calce, fino ad ottenere una superficie liscia. Successivamente sono state tracciate delle linee di riferimento, utili per il disegno preparatorio. Il disegno preparatorio è stato eseguito a carboncino o sinopia (il colore rossastro). Sulla porzione di parete destinata ad essere affrescata in un giorno è stata stesa la tona chino, un ultimo sottile strato di intonaco composto da polvere di marmo e calce impastata con acqua. Prima che il tona chino si asciugasse, il pittore dipinse velocemente la parte dell'affresco prevista, completandola in ogni dettaglio. Ogni porzione di un affresco dipinto in un giorno era chiamata "giorno". I giorni potrebbero essere più o meno prolungati, a seconda della complessità dell'esecuzione.
La cappella degli Scrovegni è la fase centrale della sua maturità (1300-1320)
L'interno della cappella Vegni scrotum è un ambiente molto semplice, di forma rettangolare, con pareti prive di pilastri divisori. Ogni scena degli affreschi è delimitata da fregi dipinti, permettendo al fedele di leggere ogni immagine e comprendere il susseguirsi degli episodi. Sulla parete d'ingresso è dipinto un grande Giudizio Universale.
Tra il 1304 e il 1306 Giotto lavorò a Padova per affrescare la cappella eretta da Enrico Scrovegni in espiazione del peccato di usura commesso dal padre, condannato da Dante all'inferno. I documenti non lo provano, ma probabilmente lo stesso Giotto ha curato l'architettura dell'edificio, che sorge sui resti dell'anfiteatro romano di Padova ed è, quindi, ricordato anche come Cappella dell'Arena. La struttura è molto semplice ed essenziale, e lo spazio interno è perfettamente funzionale a contenere un complesso ciclo di affreschi: un'unica navata, con strette finestre solo laterali, e volta a botte, dipinta con un cielo stellato e alcune figure divine ( la Madonna col Bambino, Cristo benedicente, gli Evangelisti, i Dottori della Chiesa) entro medaglioni. Il programma iconografico esalta la figura della Madonna come madre di Cristo, a sua volta protagonista della redenzione, via di salvezza per l'uomo, lungo il cammino tra vizio e virtù (Impersonata dalle fantasiose allegorie monocrome che decorano il plinto, dipinto simulare un rivestimento marmoreo), verso il Giudizio Finale.
La grande parete della controfacciata è occupata proprio dal Giudizio Universale, incastonato attorno all'energica figura di Cristo, attorniato da compatte schiere di angeli, che divide beati e dannati, i quali cadono nelle orrende pene infernali. La scena è affollata e movimentata, ma molti dettagli sembrano essere stati affidati agli allievi. Sulla stessa parete compare il ritratto di Enrico Scrovegni, che dedica alla Madonna il modello della cartella.
Lungo i lati e sull'arco trionfale sono allineate su tre registri sovrapposti senza soluzione di continuità le Storie di Gioacchino e Anna e le Storie della vita e della Passione di Cristo. Per un totale di 36 pannelli, il senso della lettura è simile a quello delle Storie di San Francesco. Realizzati in un periodo limitato, gli affreschi padovani segnano la fase della prima maturità di Giotto in termini di grande coerenza stilistica, controllo formale continuo, senza momenti di caduta, solenne affermazione della dignità della figura umana e, insieme del suo ruolo centrale nella storia.
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Giotto architetto
Negli ultimi anni della sua vita, Giotto progettò il Campanile, una torre a pianta quadrata, per il Duomo di Firenze. L'edificio, alleggerito da bifore e bifore, è rivestito di marmi policromi, sculture e bassorilievi. Alto quasi 85 metri, fu terminato dopo la sua morte nel 1357. Nonostante i successivi interventi, il grande campanile presenta un aspetto omogeneo. Qui sotto potete vedere un'immagine del Campanile di Giotto.
L'eredità
Secondo un noto aforisma di Roberto Longhi, l'unico vero “giottesco” è lo stesso Giotto. Solo lui ebbe l'energia per incrementare radicalmente la tradizione artistica italiana: i suoi seguaci, anche grandi artisti, non possono superare il maestro. I frequenti viaggi di Giotto favorirono la nascita di scuole “giottesche” in tutta Italia: tipico è il caso dei pittori riminesi, forse i più pronti ad accogliere le novità del maestro ea tradurle in un piacevole senso narrativo. Ma la prospettiva e la cultura geometrica si radicano soprattutto a Firenze, che nella prima metà del Trecento prende il posto di Assisi all'avanguardia della ricerca artistica: proprio nei luoghi dove operò Giotto, a partire dalla Basilica di Santa Croce, maestri come Maso di Banco, Agnolo Gaddi, Bernardo Daddi ei parenti di Giotto Stefano e Giottino formano un gruppo compatto, ispirato da un solido realismo. Insomma, la profezia di Dante, che prevedeva un successore di Giotto capace di superare il maestro, come lo stesso Giotto aveva fatto con Cimabue, non sembra avverarsi.
Come ha ampiamente dimostrato Millard Meiss, la “peste nera” del 1348 provocò un profondo ripensamento della cultura e dell'arte toscana: la pittura e il recupero del rapporto di dipendenza del destino dell'uomo dalla volontà di Dio, che le immagini di Giotto avevano in parte limitato. Così, per circa mezzo secolo, ci fu un ritorno all'arte ieratica, se vera: Giotto fu ammirato e studiato, ma più dal punto di vista dell'artigianato che da quello della composizione.
I racconti di Boccaccio e Sacchetti richiamano la figura storica del maestro, tanto brutta quanto spiritosa: è trapelata la nostalgia per un tipo di pittura che nessuno può praticare. Il Libro dell'Arte, scritto alla fine del Trecento da Cennino Cennini, è il compendio della tecnica giottesca, minuziosamente descritta in ogni fase della preparazione e dell'esecuzione dell'opera d'arte. Agli inizi del Quattrocento la lezione di Giotto viene riproposta come base dell'umanesimo.
Masaccio è salutato come un “Giotto risuscitato”, per aver applicato alle figure come all'architettura le regole della proiezione prospettica della pittura. Se lo stile dominante era il tardo gotico ricco e ornato, l'austerità asciutta e forte di Giotto è tornata in auge con la linearità dell'architettura del Brunelleschi (che innalza la cupola del Duomo accanto al campanile di Giotto) e l'energia plastica delle sculture di Donatello.
Il recupero storico di Giotto, sentito come capostipite del Rinascimento fiorentino, fu sancito dal decreto pubblico con il quale, nel 1490, Giotto fece erigere un monumento celebrativo, comprendente una scultura di Benedetto da Maiano e l'epigrafe dettata dal Poliziano. Nello stesso periodo il giovane Michelangelo si esercitò a copiare gli affreschi di Giotto, acquisendo il gusto per le figure di volume robusto.
Dal Cinquecento in poi, nonostante gli alti elogi decretati dal Vasari e da tutta la successiva storiografia artistica, la fortuna di Giotto e di tutti i “primitivi” tende a eclissarsi. I pittori prima della metà del Quattrocento erano considerati una “curiosità” dagli studiosi, e molte loro opere furono irrimediabilmente distrutte o manomesse: le cappelle Bardi e Peruzzi, ad esempio, furono ricoperte di intonaco. Nel corso dell'Ottocento, sulla base della ripresa avviata dal romanticismo tedesco, Giotto fu considerato con crescente attenzione, e le sue opere e le sue scoperte, pur attraverso restauri, furono solo talvolta rispettose.
Alla fine del secolo scorso gli affreschi di Assisi furono approfonditi: le ricerche di Rintelen (Giotto und die Giotto-Apokirphen, pubblicato nel 1912) inaugurarono la lunga polemica sulle attribuzioni, riassunta nel 1939 da Offner con un lungo articolo col significativo titolo di Giotto-non Giotto. Mentre la critica è divisa, il maestro Giotto viene recuperato come fonte per la pittura: Cézanne e i cubisti trovano in lui un fortissimo punto di riferimento, e Carlo Carrà (autore anche di una monografia critica sul maestro) pone Giotto al base dell'estetica del gruppo denominato Novecento. La ricerca critica del dopoguerra, favorita da restauri e scoperte, ha affrontato i più svariati aspetti dell'arte di Giotto. In particolare, tre punti sono ritenuti significativi: la rappresentazione dello spazio, la cronologia delle opere e la formazione.
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